martedì 10 marzo 2009

Sensori 3: botti piccole e vino buono

Ci risiamo! Se non si parla di mangiare, si parla di bere. Vox populi, dicevano i Latini, giusto? Nella botte piccola c’e’ il vino buono, dice il proverbio. Vediamo insieme se e quanto questo assunto si applica ai sensori delle nostre amate fotocamere digitali.
Da quanto visto nella puntata precedente [Sensori 2: Pasticcini e pixel....] sembrerebbe che, se non si avessero problemi di peso e di ingombri, sarebbe meglio avere sensori grandi con grandi fotorecettori.
Nella pratica però, e’ necessario fare un grosso distinguo: alla domanda meglio sensori grandi o sensori piccoli? La risposta esige prudenza: dipende dall’uso che se ne fa.
Nonostante il drammatico proliferare di sensori di varie dimensioni, ultimamente si sta assistendo ad uno sforzo verso un minimo di standardizzazione. Per gli scopi di questa trattazione, pur senza perdere in generalità, analizzeremo il comportamento di tre formati: il cosiddetto “full frame”, quello che ha le stesse dimensioni fisiche della pellicola 35mm, ovvero un rettangolo di 24x36mm, il sensore cosiddetto DX (16x24mm) usato dalla maggior parte delle reflex digitali, ed uno più recente e più piccolo definito 4/3 di 13.5x18mm.
Nella figura vediamo un paragone tra i vari formati, riferiti ad un comune portamina da 12 cm per dare un’idea della scala.
Abbiamo già visto come una macchina con un sensore full format abbia una superiore gamma dinamica (e quindi una migliore tolleranza al rumore nelle ombre) di una con sensore DX, ed a maggior ragione di una con sensore 4/3.
Vediamo ora quali sono gli svantaggi (perché ce ne sono, cosa pensavate?!?).
Fattore di ingrandimento dei sensori piccoli.
Diciamo che vogliamo fotografare la nostra nuova amica mentre gioca a golf. I raggi luminosi che arrivano all’obiettivo vengono rifratti secondo le leggi dell’ottica (materiali e forma delle lenti) e convogliati sul piano focale (dove si trovano il sensore o la pellicola). Vediamo, con l’ausilio della figura a fianco, che a parità di obiettivo l’immagine della golfista nel caso del sensore DX (in rosso) riempie completamente il fotogramma, mentre nel caso del 24x36 ne occupa una porzione inferiore. Per sfruttare appieno il vantaggio del sensore più grande abbiamo quindi bisogno di un obiettivo che ingrandisce l’immagine fino a farle coprire l’intero sensore. Ho chiesto a mio figlio, che studia la geometria, di quanto dovrei ingrandire l’immagine. Visto che stiamo parlando di diagonali, la diagonale di un rettangolo di 24x36mm e’ circa 1.44 volte quella del rettangolo di 18x24mm del sensore DX. Supponiamo ora di voler riprendere la nostra amica sportiva con un obiettivo di 100mm di focale montato su una macchina equipaggiata con un sensore DX. Per ottenere la stessa immagine con una macchina digitale a pieno formato avremo bisogno di un obiettivo di 150mm. Dal momento che il 24x36 e’ il formato di pellicola che ha letteralmente fatto la storia della fotografia, la lunghezza focale degli obiettivi viene spesso riferita a quest’ultimo formato. Per le macchine con sensori più piccoli si parla di conseguenza di efl (equivalent focal lenght). Nell’esempio di prima, un obiettivo da 100mm montato su una fotocamera in standard DX avrà di conseguenza una focale efl di 150mm.
Una trattazione delle ottiche degli obiettivi esula dagli scopi di questa chiacchierata (non so mica tutto, no?), ma non c’e’ il minimo dubbio che un aumento di focale di 1.5 volte non venga gratis. L’obiettivo sarà più ingombrante, meno luminoso e…. più caro.
Profondità di campo e cerchio di confusione.
Quando andiamo dall’oculista ci fanno leggere un tabellone luminoso con lettere sempre più piccole. A parte chi vi scrive che, all’età’ di 18 anni, ha imparato a memoria le ultime tre righe per prendere la patente senza occhiali, quanti non hanno difetti di vista leggono 10/10. Per i nostri scopi questo significa discernere 4 linee per millimetro ad una distanza di 32 cm. In pratica si e’ convenuto che un occhio in buona salute possa vedere come puntiforme un cerchio di 0.25mm di diametro su una stampa di 20x25cm posta a 32cm di distanza. Non chiedetemi troppi perché…. E’ una convenzione, ok? Bene, supponiamo ora di fotografare quel punto. Chiamiamo piano focale quel piano su cui il punto risulta a fuoco, ovvero puntiforme, appunto. Aiutandoci con la figura a fianco, vediamo che, qualora volessi fotografare anche un secondo punto ad una distanza superiore, questo non sarebbe a fuoco sul piano focale, e verrebbe quindi rappresentato come un cerchio. E’ esattamente quello che succede quando scattiamo una foto di due oggetti a distanza diversa. Con un diaframma aperto uno risulta a fuoco, l’altro risulta fuori fuoco (confuso). Proviamo ora a chiudere il diaframma. Vediamo lo stesso disegno di prima, ma con un foro più stretto in cui passa la luce. Vediamo come il cerchio di confusione del secondo oggetto sia molto più piccolo, tendente ad un punto. Vediamo ora la stessa foto di prima scattata con un diaframma più chiuso. Entrambi gli oggetti sono a fuoco. Ecco svelato il segreto della profondità di campo e del suo variare in funzione del diaframma.
Aiutandoci con le due immagini a lato, vediamo in pratica come vengono registrati i dettagli. La prima foto e’ stata ripresa con un’apertura di diaframma F/6.3. Il cigno di origami in primo piano comincia ad essere fuori fuoco già dalla coda, mentre la ranocchia in secondo piano e’ completamente sfocata. Nella seconda immagine il diaframma e’ stato chiuso a F/22 e come si vede entrambe le figure sono perfettamente a fuoco.
Il cerchio di confusione ha anche rilevanza nella scelta di un determinato sensore. Aumentando le dimensioni del sensore e’ come se ingrandissi l’immagine (si veda esempio della golfista). Questo si ripercuote immediatamente in un aumento del cerchio di confusione, quindi dimensioni maggiori del sensore implicano minore profondità di campo. Questo va bene con ritratti, macro ecc, ma pensiamo a foto paesaggistiche, dove vogliamo avere tutto a fuoco: siamo costretti a diminuire l’apertura del diaframma, con conseguente aumento dei tempi di esposizione. Questo effetto e’ anche negativo per i fotografi di matrimoni, che hanno necessità di grande profondità di campo. Unica ricetta, aumentare la sensibilità (ISO) con conseguente aumento del rumore. Il grande beneficio dei sensori di maggiori dimensioni di una migliore resa della gamma dinamica ed insensibilità al rumore si viene così a vanificare per la necessità di aumentare la sensibilità per ridurre il rischio di mosso.
Anche per oggi siamo riusciti ad arrivare in fondo. Prima di salutarvi però, vorrei ricordare i punti fondamentali trattati nel blog di questa settimana:
1 La scelta della fotocamera e del relativo sensore (35mm full frame, DX o altro) deve essere dettata dall’uso preponderante che se ne deve fare, piuttosto che dai richiami delle “sirene del marketing”;
2 Sensori maggiori presentano una maggiore gamma dinamica ed insensibilità al rumore. Le macchine che ne vengono equipaggiate sono ideali per still life, paesaggi e per tutte quelle situazioni dove e’ imperativo fotografare in condizioni di luce scarsa senza l’ausilio del flash.
3 Aumentando le dimensioni del sensore diminuisce la profondità di campo. Questo effetto può risultare molto utile per esempio nelle foto di ritratto.
4 Le macchine che montano sensori maggiori costano da 1.5 a 3 volte di più.
5 Al contrario, le macchine che montano sensori più piccoli costano di meno.
6 Sensori più piccoli offrono il beneficio di una maggiore profondità di campo e di un aumento della focale. Le due cose combinate ne decretano il successo nell’ambito della fotografia sportiva e naturalistica dove sono richieste focali lunghe, tempi brevi o grandi profondità di campo.
Au revoir
Max Sirio